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Introvabili, indispensabili, sequestrate, valgono 50 cent... sono le mascherine!

Chi l'avrebbe mai detto che le semplici mascherine chirurgiche, oggetti elementari da fabbricare, considerate vent'anni fa una commodity da far produrre nei paesi low-cost, oggi sarebbero tornate alla ribalta a conquistare i mercati?

Ebbene sì, quelle bandelle di tessuto sintetico oggi "si sono prese la loro rivincita" fino ad essere riconosciute oggetti indispensabili per la salute collettiva. Si sono guadagnate l'appellativo di "prodotto strategico" dell'industria e stanno ora sfoderando "la loro vendetta" minando addirittura le alte cariche politiche dello Stato e le direzioni sanitarie!


Allegoria a parte, proviamo a vedere di cosa stiamo parlando e quali sono state le dinamiche attorno a questo semplice ma importante prodotto.

La mascherina chirurgica è sempre stata un dispositivo di sicurezza in mano al personale sanitario, utilizzato per non infettare i pazienti. Infatti questa semplice mascherina ha lo scopo di non far disperdere le goccioline di saliva di chi la indossa (il chirurgo appunto mentre opera il paziente). Questo dispositivo filtra l'aria "a senso unico" e non è assolutamente efficace per proteggere la persona che la usa in un ambiente contaminato.

In sostanza è un oggetto modesto che fino a vent'anni fa veniva prodotto in Italia con tecnologie che oggi risultano obsolete e che necessitava di una buona dose di manodopera. Per questo motivo gli imprenditori che la confezionavano preferirono delocalizzarne la produzione nei paesi del Far East, piuttosto che investire in nuovi macchinari.


Mascherine e mentalità


La diffusione dell'uso delle mascherine chirurgiche è esploso in Asia nel 2003 a seguito dell'epidemia della SARS e non è un caso che in Cina, Giappone e Corea sia stata adottato quel tipo di mascherina (economica) a tutela della salute del prossimo. In Oriente il Confucianesimo ha plasmato nel corso dei secoli quei popoli, cosicché il bene della collettività viene prima del benessere individuale, quindi il pensiero comune in Asia è: "Se proteggo gli altri dalle mie secrezioni e tutti facciamo la stessa cosa, il contagio si arresta".


Ho vissuto in Cina ed in quel Paese le mascherine sono un accessorio comune che ogni famiglia ripone nell'armadietto del bagno insieme alle medicine.

"Se al mattino mi alzavo col raffreddore era d'obbligo indossarla per recarmi al lavoro e guai a togliersela in ufficio, i colleghi mi fulminavano con lo sguardo!"

Ancora adesso, noi in Occidente, non riusciamo ad interpretare l'uso della mascherina con lo stesso approccio, per noi quell'accessorio rimane un dispositivo per proteggerci dagli altri!

E' una questione di mentalità: lo vediamo nei portamenti di come la indossiamo e ancora di più lo notiamo nella ricerca spasmodica per l'acquisto dei respiratori FFP2 e FFP3 che sono i dispositivi ad alto potere filtrante, usati dai sanitari negli ambienti ad alta contaminazione.


Travolti dall'epidemia di COVID-19 ci siamo resi conto di quanto sia importante l'uso corretto di questi mezzi di protezione, ma ci siamo arrivati troppo tardi ed impreparati. Alcuni medici ed infermieri, che hanno curato i malati nel pieno dell'emergenza sanitaria, hanno pagato con la loro vita la mancanza delle mascherine negli ospedali.


Un'incredibile serie di errori!


Le mascherine introvabili nei reparti ospedalieri e quelle che venivano "censurate" nelle RSA per non turbare gli ospiti ed allarmare i familiari.

Le importazioni delle mascherine fake, prive di certificati e delle caratteristiche idonee a compiere la loro funzione.

Le importazioni delle mascherine bloccate e sequestrate dagli Stati membri dell'Unione Europea.

Le mascherine regolarmente importate, arrivate in Italia e poi sequestrate dalle Autorità Doganali.

La speculazione sui mercati che ha visto quintuplicare il prezzo al dettaglio delle mascherine.


Ecco allora la corsa dei nostri imprenditori per recuperare, convertire ed attivare le produzioni di mascherine, ma con quale tecnologia? Con quella di trent'anni fa? Con quali materiali? Con la stoffa di cotone?

La realtà, di cui ci siamo subito resi conto, è che l'industria italiana negli ultimi trent'anni non ha curato il know how di questo prodotto ed è rimasta alle metodologie manifatturiere del passato...

Quando ho visto la buona volontà delle industrie del tessile a produrre le mascherine chirurgiche manualmente con le macchine da cucire mi è venuto un tonfo al cuore!

Ho trovato paradossali quei servizi televisivi nei quali venivano elogiati gli imprenditori della Moda che si sono improvvisati a confezionare mascherine in tessuto al ritmo di 70.000 pezzi alla settimana.

Mascherine assolutamente non idonee per fronteggiare la pandemia, lontane da ogni parametro di certificazione sanitaria.


Il vero sforzo, invece, l'ho visto compiere da un imprenditore con il quale sto collaborando. Egli, senza troppi fronzoli, ha messo sul piatto un ingente somma di denaro ed ha acquistato una macchina completamente automatica per produrre le mascherine con i tessuti filtranti idonei ai fini di ottenere un prodotto certificabile all'impiego sanitario.

Ha acquistato un macchinario tecnologico, progettato e costruito in Cina, capace di produrre 100.000 pezzi al giorno con l'assistenza di un solo operatore! (vedi filmato della macchina)

Nel mentre che la macchina veniva costruita e trasportata in Italia, l'impresario si è occupato con i suoi ingegneri di redigere le pratiche per la certificazione delle mascherine ed ha attivato tutta la Supply Chain per approvvigionare i materiali e garantirne il flusso.

Un lavoro immane, compresso in un mese e portato a termine grazie alla passione ed alla determinazione di chi può fregiarsi del titolo di industriale.


Eppure la "vendetta" delle mascherine non si è ancora esaurita, dopo le discussioni e le risse verbali in Parlamento per indossarla o meno, dopo l'indecisione della Protezione Civile, del Governo e dei Governatori delle Regioni per decretarne l'uso obbligatorio... è arrivato il colpo di scure: in Italia, Paese di libero mercato, è stato decretato che il prezzo della singola mascherina non può superare i 50 centesimi + IVA!


Questa è la ciliegina sulla torta di un grande pasticcio cominciato tre mesi fa!


Ora le discussioni sono più che accese e le conseguenze negative sul mercato sono state immediate! Le mascherine sono scomparse dalla circolazione, chi le ha in stock si rifiuta di venderle sottocosto, chi le importa dall'Asia ha bloccato gli ordini, chi le produce in maniera arcaica ha mandato a casa i lavoratori... e la gente in strada per non essere multata (perché è successo anche questo a Conegliano: 400 euro di multa ad un ragazzo fermato senza la mascherina mentre andava in bicicletta) si arrangia uscendo di casa con il foulard sul viso.


L'industriale, di cui ho parlato prima, sta facendo i conti, probabilmente la sua macchina automatica e la supply chain che ha individuato i fornitori giusti riusciranno a "far quadrare le cifre" erodendo un po' di margine, ma lui da solo potrà produrre solo un millesimo del fabbisogno nazionale...


Riguardo questo argomento ho dedicato un articolo, ma c'è talmente tanto materiale da sviscerare ancora che si potrebbe scrivere un'intera tesi di laurea!

Quante cose ci ha insegnato una semplice mascherina di pochi centesimi!


Daniele Pezzali consulente in Procurement & ICT (visita: www.danielepezzali.com)

1° maggio 2020

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